La mia versione

Sono nuovamente in anticipo. Non capisco perché, nonostante gli anni che passano, riesco comunque ad arrivare sempre un quarto d’ora prima dell’orario stabilito. Eppure dovrei aver capito che gli imprevisti o gli incidenti che metto in conto non avverranno mai.

Quindi eccomi qua, costretto a dover ammazzare il tempo nell’attesa che si facciano le 16.00. Mi guardo intorno, vedo che c’è una panchina sotto ad un albero, ed è inspiegabilmente vuota. Colpo di fortuna o un segno del destino? Se è vuota, ci sarà un motivo, mi dice una vocina dentro la testa.

Per un momento ci penso anche di non sedermi, sembra proprio una trappola. Alla fine però, l’insostenibile caldo ha la meglio, così mi siedo e comincio a guardare il cellulare.

Passano un paio di minuti, quando sento qualcosa cadermi sulla spalla. Non penso che stia per iniziare a piovere, il cielo è limpido e terso. Una foglia, dev’essere una foglia che è caduta dolcemente dal ramo e mi ha sfiorato.

Ma quando guardo la spalla realizzo. Non è una foglia, è guano. Bianco, molto bianco, si mimetizza quasi perfettamente sulla mia maglietta, non fosse altro per l’enorme occhio di bue che si espande sulla mia spalla.

Non impiego molto a trovare il colpevole. Continua a starsene appollaiato sul ramo, fiero e soddisfatto. Cerco il suo sguardo, se non altro per fargli capire che cagarmi addosso non è stato un gesto gentile.

Quando si accorge che lo sto fissando, non regge a lungo il confronto con i miei occhi. Con aria turbata, quasi pentita, spicca il volo, allontanandosi verso altri rami, verso altri guani.

La sua versione

Sono appollaiato con i ragazzi sul ramo, a battibeccare su come un tempo trovare cibo fosse più facile. Alcuni ricordano di quando gli umani ci tiravano addosso le briciole, bei tempi. Ora non è più così, sono tutti più diffidenti, sempre chini su quelle loro strambe tavoline piatte e luminose.

Come quell’umano che stiamo osservando da un po’. Prima si guardava attorno e sbuffava, poi ha deciso di sedersi proprio sotto il ramo, la nostra personale zona relax. Scommetto che non lo centri, mi fa uno dei ragazzi. Non lo centri, ripetono gli altri in coro. Ah, non lo centro? State a vedere.

Ne avevo un po’ pronto per una macchina nera che si parcheggia sempre sotto il mio nido, ma per oggi posso soprassedere. Al massimo chiederò aiuto ai miei pulcini.

Prendo bene le distanze, calcolo il vento e lascio partire la striscia, che lo prende in pieno sulla spalla destra. Dicevate? faccio agli altri piccioni appollaiati sul ramo. Umiliati, volano via tutti, lasciandomi finalmente solo a godermi la tranquillità di quel ramo.

L’umano intanto si è accorto che qualcosa non va. Si alzato e comincia a guardarsi attorno. Io continuo a fare finta di niente. Magari non se n’è accorto, in fondo la maglietta è bianca, così come il mio guano. Poi non credo di aver fatto un grosso danno, è proprio brutta quella maglietta. In ogni caso basta non fissarlo negli occhi e fare finta di niente.

Niente, non ci riesco, lo vedo che mi sta scrutando. Mannaggia, adesso mi sento in colpa, sembra proprio triste. Forse lui ci teneva particolarmente a quella maglietta, forse aveva un appuntamento importante. Ma ormai è troppo tardi per i sensi di colpa. Posso solo volare verso casa, nella speranza che la macchina nera sia ancora parcheggiata sotto al mio nido.

Questa volta voglio centrare il parabrezza.

pfz