La parola pazienza viene dal latino patire, che pure in italiano è facile da tradurre e lascia davvero poco spazio all’immaginazione. La pazienza è la virtù dei forti è un modo di dire, una locuzione che non si sa chi abbia partorito.

Sir Rudyard Kipling, nella sua celeberrima Lettera al figlio, diceva che se sai aspettare senza stancarti dell’attesa, allora lì diventi davvero uomo, un uomo che non si lascia condurre dal momento, dalla situazione, la gestisce e non ne viene gestito, e anzi se ne appropria fino a farla diventare opportunità.

Quando ci riusciamo, quando abbiamo la capacità di trasformare uno svantaggio apparente in un vantaggio, aspettando il momento giusto per agire, allora la pazienza diventa davvero, come diceva Leopardi, la più eroica delle virtù. Proprio perché di eroico non ha niente.

Ed allora io penso che anche io sono un eroe, ma un eroe del calibro di Iron Man o Capitan America, quando mantengo la calma davanti al numero 93, che è da tre minuti davanti a me nel reparto salumi della Coop e che sta chiedendo alla commessa:

Prosciutto crudo di parma tagliato a fette spesse e senza troppo grasso perché a mio figlio non piace e già che ci siamo faccia due etti che poi comunque anche se è a dieta alla fine la signora lo mangia il prosciutto e pure a me piace mangiare una fetta a cena ma solo ogni tanto che poi troppi affettati la sera fanno male e fanno venire sete.

E sebbene i miei pensieri siano tutt’altro che eroici, mi ricordo di Sant’Agostino, che diceva che la virtù ci fa sopportare le contrarietà con calma e serenità. Poi però ripenso al fatto che Sant’Agostino probabilmente non aveva mai dovuto fare nove ore chiuso dentro un ufficio, per poi uscire e ritrovarti davanti ad una commessa che riesce a tagliare il prosciutto con la stessa velocità che impiego io per leggere un testo in sanscrito.

La stessa commessa rischia di farmi nominare il nome dello stesso Sant’Agostino invano, perché non comprende che per me veder affettare  il prosciutto cotto non è una cerimonia come l’hanami per i giapponesi, e non riesco a trarre un piacere spirituale o una qualsivoglia libido nel vedere la manopola dell’affettatrice mentre culla l’insaccato verso la lama. Inoltre, sebbene apprezzi che la fetta sia correttamente tagliata, il suo impiattamento all’interno della carta oleata non sarà causa ostativa della mia personale scelta di ritornare o meno nello stesso supermercato.

Alla fine, comunque, la pazienza premia il mio eroismo, la mia tenacia, con un etto di prosciutto cotto.

Che poi alla fine penso sempre che era meglio prendere almeno mezzo etto in più, piuttosto che rifare fra altri sette giorni la fila al banco dei salumi.

pfz