I medici la chiamano ganglioneuralgia sfenopalatina, ma io preferisco chiamarla emicrania gelatosa.

Mi è venuta nuovamente l’altro giorno, mentre ero seduto su una panchina con in mano la mia granita alla fragola, unico lusso concesso nei periodi di caldo torrido.

Il problema è che mangio troppo in fretta. Me lo dicono spesso: mangia lento, assapora, gusta.

Ma non ci riesco, la granita è troppo fresca, e io troppo accaldato. Lo metto in conto, che arriverà l’emicrania gelatosa. So bene che mi prenderà, facendomi pure star male, anche se per pochi attimi.

Eppure non riesco a farne a meno. Feuerbach ci si era avvicinato, ma non siamo ciò che mangiamo, siamo come mangiamo.

Ci sono quelli bravi a gustare il cibo, quelli che dentro il palato riescono a distinguere sapori ed ingredienti, a scomporre i passaggi necessari per arrivare al piatto e forse anche a ricrearlo.

Poi ci sono gli altri, quelli che mangiano veloce, forse per paura che il cibo si sfreddi. Quelli che vivono i sentimenti proprio come una granita alla fragola, consumando tutto con velocità, preoccupati dalla caducità di quei momenti.

Il problema è che a mangiare veloci, a nutrirsi dei sentimenti con quella bramosia, quella voglia, alla fine rischi di farti male.

O di prenderti un’emicrania gelatosa.

pfz