Quando cammino non calpesto mai le linee.

Credo che questa azione sia da ricondurre ad un mio personalissimo disturbo ossessivo compulsivo, che fa in modo che il mio cervello insista nel voler ostinatamente assegnare alla strada una sua specifica geometria.

Quale che sia la forma, la grandezza o la lunghezza della mattonella, la mia mente concepisce l’atto di poggiare il mio piede fra le intersezioni che compongono la pavimentazione come un affronto all’idea platonica del marciapiede. 

Perché dovrei sporcare quei perfetti incroci perpendicolari creati apposta per stimolare il mio piede in modo tale che la sua posizione risulti perfettamente inserita nella superficie delimitata dalla forma geometrica della piastrella?

Quando cammino, il mio cervello processa tutte le informazioni sul tracciato del marciapiede, trasmettendo direttamente alla mia iride una precisa griglia della strada. Rombi, rettangoli e quadranti diventano parte di un complicato percorso ad ostacoli.

Accade che sampietrini e pavé diventino i miei nuovi e principali avversari, forme geometriche imprecise ed aleatorie che complicano ulteriormente l’assunto, costringendo la mia mente ad inventare nuovi escamotage e nuove regole per evitare la sovrapposizione fra i piedi e gli incastri.

Così, mentre inevitabilmente inizio a dribblare gli altri passanti, pian piano comprendo che tutti abbiano una nostra andatura. Unica e originale, è quella che ci caratterizza e ci consente di distinguerci l’uno dall’altro, permettendoci di mantenere la nostra singolarità anche in un contesto caotico.

Forse non sono il solo, in mezzo alla strada, ad evitare le linee, magari siamo in tanti qui ad evitare gli ostacoli che ogni giorno ci autoimponiamo. Così mentre cammino e penso, e quindi cartesianamente sono, mi sovviene un’unica domanda.

Perché fanno i marciapiedi asfaltati?


pfz