– Io ho una storia.

– E io ho del tempo per ascoltarla.

– Michele, così i coniugi Bianchi avevano chiamato il loro primogenito. Un bellissimo bambino, dal volto tondo e  paffuto e con un ciuffo di peli neri sulla testa. Michele, come il padre di lei, morto in un incidente solo pochi mesi prima di veder nascere il nipote. Michele cresceva in fretta, aveva imparato a camminare a solo undici mesi e aveva detto la prima parola a un anno.

Solo una cosa sembrava non entrare in testa a Michele, la matematica.

Con i numeri ci litigava, ne dimenticava sempre uno. I Bianchi non capivano come mai il piccolo i numeri non li riuscisse proprio a contare. Perdeva sempre una cifra. I sei nani di Biancaneve, i nove comandamenti, le undici fatiche di Ercole. Contattarono tutti i migliori specialisti, i migliori pedagoghi, ma niente. Alla fine tutti si dovettero arrendere al fatto che Michele dimenticava una cifra. Un problema genetico? Un problema di memoria? Tutti i grandi esperti si arresero, non c’era cura.

All’inizio fu anche bello. Michele veniva invitato nei talk show più famosi di tutto il mondo per parlare del suo problema. Ma i quattordici minuti di celebrità durarono poco, ben presto l’effimero interesse del pubblico svanì, i telespettatori volevano qualcosa di nuovo, e dimenticarono quel bizzarro giovane che dimenticava i numeri.

Per Michele intanto le cose non procedevano affatto bene. Più cresceva, più il problema si aggravava. Alla sua festa dei dieci anni disse di averne compiuto sette. A scuola un giorno disse che la scoperta dell’America era avvenuta nel 1042 d.C.

Sembrava non esserci modo di fermare la progressiva perdita delle cifre. Un matematico del MIT calcolò che a trent’anni avrebbe potuto perdere quasi tutti i numeri. I signori Bianchi non sapevano più che fare. Michele, nel frattempo, era sempre più chiuso in sé stesso, incapace di contrastare il progredire della sua malattia. Ogni sera si sforzava, di capire i numeri, di non perderli, ma non gli riusciva.

Poi un giorno, sui social, conobbe lei, Anna. Per lei i numeri non erano affatto un problema. Una calcolatrice umana, un prodigio della matematica. Riusciva a calcolare il logaritmo naturale di 345 in meno di sette secondi (giusto per la cronaca, il risultato è 5,8435444170314).

Ma anche Anna aveva i suoi problemi, come tutti. Sebbene prodigiosa nella matematica, la ragazza non riusciva a credere in sé stessa. Un paradosso che una ragazza così dotata nella matematica e con così poca fiducia nei suoi mezzi. Ma Anna era così, e spesso non riusciva neanche a parlare alle persone, tanto era timida.

Solo i numeri la facevano sentire a suo agio.

Michele e Anna non si erano mai incontrati di persona, perché Anna aveva troppa paura, paura di non piacergli, paura di non riuscire a parlare di fronte a lui. Paura.

Ma un giorno Michele decise di chiederle un appuntamento, solo per vedersi, per parlare di persona con quella amica che era allo stesso tempo così vicina e così lontana. Anna aveva ancora paura, ma Michele fu così convincente, così rassicurante, che Anna accettò l’appuntamento.

Michele propose di incontrarsi alle 21, solo che per lui erano le 17. Fu così i due non si incontrarono. Entrambi aspettarono ore un qualcuno che non si presentò. Michele ci rimase malissimo, la sua malattia era riuscita a fargli perdere un’amica, la più sincera che avesse avuto. Anna se possibile ci rimase peggio. Smise di rispondere ai messaggi e alle lettere di Michele, l’amico che l’aveva tradita, almeno dal suo punto di vista.

Per oltre dieci anni non si sentirono.

– Ma il lieto fine? Ci dovrà pur essere un lieto fine?

– Non c’è. La vita alle volte non ha lieto fine.

– Ma questa storia deve averlo!

– Uff, va bene. Michele e Anna si sposano.

– Davvero?

– No.

– Dai, dimmi come va a finire per davvero!

– La contattò circa cinque mesi dopo. Lei aveva già conosciuto un ragazzo, una persona perbene. Andarono solamente a prendersi un caffè insieme e da quel giorno ogni tanto si incontrano, ma solo come amici.

– E Michele?

– Michele cosa?

– Non ha conosciuto nessuna?

– Non ancora.

– E perde ancora le cifre?

– Hai voglia.

– E non ha trovato nessuna.

– Così pare.

– Uff.

– Cosa c’è?

– E che mi sarebbe davvero piaciuto un botto se lui e Anna si fossero messi insieme.

– Il tempo è ancora tanto. Chissà, magari finirà proprio così.

– Sarebbe bello.

– Beh, io ora devo andare, è tardissimo per me.

– Ehi, grazie mille per la storia.

– Figurati, grazie novecentoquarantanove a te per aver avuto voglia di ascoltarla.


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