18:22

L’aria fredda mi pervade il corpo e ho qualche brivido di freddo. Cominciano i primi ripensamenti. Se vado ora forse ce la faccio. Ma non posso andare, e neanche voglio. So per certo che se mi muovessi ora dopo un minuto il pullman si concretizzerebbe miracolosamente alla fermata per puro dispetto. Democristianamente scelgo di seguire la linea della fermezza. Resto qui. 

Si avvicina una signora anziana, di circa sessant’anni. Ha una pelliccia che le conferisce l’agilità di un bradipo. Anzi, probabilmente è fatta con un bradipo, a giudicare dal colore. Guarda il tabellone con aria altezzosa, poi guarda la panchina. Eh no, sia messo agli atti: io il posto non glielo cedo. Non dopo la corsa che ho dovuto fare. Osserva la ragazza. Lei in tutta risposta si mette le cuffie. Guarda me. Sa che non mi alzerò, fa troppo freddo e lei non è così anziana. In questa circostanza non è un vantaggio, penso.

E invece mi sbaglio. Perché l’anzianità si vede da due fattori. Uno è la vecchiaia. L’altro è l’esperienza. Ha ancora tanti assi nella manica, non è certo quella la prima volta che si è fatta cedere il posto. 

– Giovane scusi, è tanto che non passa? 

Vorrei rispondere “Ma che le importa da quanto non passa, scusi?”, ma apparirei come maleducato. Il “giovane”, poi ,è il tocco di classe. Perché stabilisce la gerarchia. Tu sei lo stronzo che non cede il posto, lei la povera anziana costretta in piedi. Anche io però ho un po’ d’esperienza in questo genere di situazioni, e so come provare a tirarmene fuori. Opto per una risposta standard. 

– Non saprei signora, sono appena arrivato, mi dispiace. 

La dico con la giusta intonazione, non come certa gente che la pronuncia tutta di fretta e non fa capire niente. Inoltre al “mi dispiace” fate una faccia triste. Di solito aiuta. Ma torniamo a noi. La vecchia è fregata, sa di non poter chiedere il posto, doveva farlo subito se aveva necessità. Dimenticanza da anzianità. Anzi, da primo fattore dell’anzianità. La vecchiaia. Adesso ha perso l’occasione. Ma è qui che l’anzianità si manifesta nuovamente tramite il secondo fattore: l’esperienza. 

– Sa – dice mentre prende fiato –  io non prendo il pullman spesso perché di solito è pieno e per me stare alzata troppo è un problema  poi ci sono i giovani d’oggi che sono molto sgarbati non come lei che è molto gentile in più i prezzi dei biglietti sono veramente cari e dell’abbonamento non me ne faccio nulla perché… 

La ragazza affianco a me è stupita. Come me. L’anziana parla come una macchina senza riprendere fiato. Un fiume di parole che mi travolge in tutto il suo impeto. Parole di una storia (quella dell’anziana sul perché prende il pullman) di cui mi importa meno di un fico secco. Eppure non smette. Il fiato continua a uscire da quelle labbra secche. So che può andare avanti altri venti minuti così prima che vada in apnea respiratoria, ma sento di essere al lumicino della mia sopportazione, e preferisco stare in piedi e perdere le gambe per ipotermia che subire ancora questa tortura. 

– Non è che si vuole sedere? 

L’anziana fa un’espressione che secondo lei dovrebbe rappresentare stupore, ma che sembra più la faccia di chi sa di avere appena vinto un duello mortale. Disegna con la bocca una O e sbatte le ciglia. 

– Grazie giovanotto, lei si che è gentile. 

Si siede. Sistema il bradipo in modo che non tocchi terra. Tira fuori dalla tasca l’ultimo modello di smartphone. Apre l’icona di un social e si mette a guardare delle foto. Passato e presente sulla stessa panchina, molto poetico. 

Bah, almeno la vecchia è zitta. Mi tiro su la sciarpa e do un’occhiata al tabellone, se tutto va bene fra 5 minuti passa il pullman. Mi appoggio a un palo. Merda se seduti si sta meglio. 

18:25

Fa freddo. Non so perchè ma la mia mente ragiona meglio con il freddo. Vedo le cose diversamente. O così credo. So soltanto che vorrei non vedere questo. So chi c’è dall’altra parte della strada, lo conosco. Non personalmente. Ma ne ho sentito parlare. Ogni pensilina ne ha uno. E’ una legge non scritta delle pensiline. Il pazzo. Il pazzo delle pensiline.

Si avvicina. A una prima occhiata non sembra poi così pazzo. Pian piano che si avvicina però inizio a notare i particolari. Il leggero strabismo all’occhio sinistro. La mano destra bloccata in una posizione innaturale. Alcuni dicono che sia un reduce di guerra, altri che sia ricchissimo e si comporta così solo perchè è pazzo e si diverte così, altri ancora dicono che lo faccia solo per l’assegno di invalidità. Il manifesto nervosismo inizia quando vede che non c’è posto a sedere. Sbuffa. Impreca. Inizia a bisbigliare fra sé è sé. Non capisco mezza parola. Tira fuori dalla tasca una penna a sfera. Inizia a cliccare furiosamente e a far uscire e rientrare la punta della penna, poi mi guarda.

– C’è odore di merda! Vero che c’è odore merda?! Non sono solo io che lo sento, vero?

Dalla mia bocca esce solo un flebile “sì”. Continua.

– Colpa di quegli straccomunitari che non si lavano. Io almeno le mattine mi faccio la doccia e non puzzo di merda come loro.

Non ha mai smesso di cliccare la penna durante tutto il discorso. Finalmente fa un ultimo clic e ripone la penna nella tasca. La tempesta è passata. Guarda il tabellone e si allontana. Non prende mai il pullman. Adesso farà un altro giro e tornerà fra dieci/venti minuti a domandare a qualcun altro se sente la puzza di merda. Lo guardo mentre va via, e mi viene in mente di inseguirlo solo per fargli qualche domanda. Chissà quale è la sua storia. Chissà se è davvero pazzo o se fa finta. Mi piacerebbe sapere la verità un giorno.

Certo che se fa finta è un attore di gran lunga migliore di Al Pacino.

La signora e la ragazza sono ancora sulla panchina, chine sui loro telefoni. Neppure si sono accorte del pazzo. Lancio un’altra occhiata al tabellone. Le 18:27. Altri tre minuti e ci siamo.

Forse.

pfz