Di fronte ad eventi fuori dal nostro controllo e di difficile previsione, l’essere umano non può fare altro che accettare quanto successo, limitandosi a prenderne attivamente coscienza. Shikata Ga Nai vuol dire che quanto è successo era destino dovesse accadere, e noi non abbiamo altra scelta se non quella di metabolizzare e andare avanti.

Come quando non trovi parcheggio e sei costretto a lasciare la macchina a duecento metri dall’ufficio, ma quando poi ti affretti a raggiungere la destinazione scopri che molte delle auto che prima erano parcheggiate hanno abbandonato il loro posto. Ed allora ti domandi perché, perché non sono andate via prima, cedendoti il parcheggio e risparmiandoti il fiatone ed un’ascella pezzata.

Come quando, nel viaggio di ritorno delle 18:33, dopo un’estenuante trasferta lavorativa, nel sedile adiacente al tuo si materializza puntualmente la famiglia con il bimbo neonato. E sai già, a discapito delle buone aspettative riposte nei genitori, che ti toccherà passare l’intero viaggio con gli auricolari nella vana speranza di non udire le laceranti urla del bambino.

Come quando vedi arrivare sulla scrivania l’ennesima pratica, ma sai già che non avrai mai abbastanza tempo per evaderla. Inizia così un’uroborica spirale, nella quale chiudi velocemente una lavorazione solamente per poterti permettere di cominciare a sbattere la testa su un’altra pratica. Ma nel mentre che lavori, arrivano altre pratiche, che sommate a quelle già esistenti creano una sorta di paradosso zenoniano nel quale ti senti Achille che riuscirà mai a raggiungere la tartaruga.

Così, quando accade tutto questo, l’unica cosa che mi consiglio di dirti è: Shikata Ga Nai.


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