Sale una ragazza, ha i capelli di quel castano chiaro che ricorda le foglie in autunno. Chiede un’informazione all’autista. Ha le labbra sottili, e mentre ascolta con attenzione la risposta si passa rapidamente la lingua per inumidirle. Si congeda dal conducente con un grazie e un sorriso che da soli valevano l’intero il prezzo della conversazione. Chiamo a raccolta i miei (presunti) poteri psichici.

Siediti accanto a me. Siediti accanto a me. 

Eh sì, la fanciulla ha due alternative, sedersi accanto a me oppure accanto a un anziano che tira su con il naso, emettendo suoni simili ad un motorino truccato. Stare in piedi non è fra le opzioni contemplate, vista la pesante borsa a tracolla che tiene sulla spalla destra. Mi guarda, gli occhi che cercano di percepire il minimo segnale di pericolo, di capire se sono il tipo di ragazzo capace di provarci in un autobus pieno di gente. Mi fissa come se fossi la reincarnazione di Jack lo squartatore.

Avanti, siediti accanto a me. 

Guarda me, poi guarda nuovamente l’anziano. Sceglie lui, la stronza. Ci penso un po’ su, sono davvero stato scelto dopo un vecchio catarroso con il naso chiuso? Cosa avrò in meno di lui, a parte ottant’anni di età? La guardo rassegnato, sarà stata una questione di chimica.

Ma non è finita qui. Il proverbio insegna che al danno deve immediatamente seguire la beffa. Ed infatti eccola, la beffa, che si materializza sotto forma di una dolce, amabile, anziana signora settantenne con in mano due buste della spesa dal peso netto di quattro chilogrammi l’una, che riesce misteriosamente a portare nonostante il rischio di una frattura dell’omero.

Lei sì che si siede accanto a me. Sotto il collo ha un neo grosso come un’oliva dal quale spunta un enorme pelo bianco che minaccia di saltarmi addosso. Non mi degna neanche di uno sguardo. Rivolgo un’occhiata alla ragazza. Lei registra il mio sguardo, lo ignora e si china distrattamente sul cellulare.

La prossima volta vado in macchina.

pfz